domenica 29 novembre 2015

La portaerei Forrestal

Imponente, lenta, e silenziosa, attraversò il golfo e andò ad ancorarsi alla fonda fuori Castel dell'Ovo
Eravamo alla metà degli anni '50 e quella era la prima portaerei che vedevamo. Ci incuriosì non poco. Non si capiva quale fosse la prua e quale fosse la poppa. Era molto alta sul livello del mare, con una piattaforma enorme sulla quale poggiavano ordinati numerosi aerei da guerra.

Il patto atlantico era stato firmato da pochi anni. Si intuì subito che gli Stati Uniti, con la presenza di una loro portaerei in un golfo italiano, nel garantire la protezione delle nostre coste, manifestavano al resto del mondo la loro ormai conclamata egemonia nel mare Mediterraneo.

Noi eravamo ragazzini. L'America ci sembrava lontana quanto oggi appare lontana la luna ai nostri nipoti. 
D'altra parte allora gli States si raggiungevano soltanto via mare, e impegnavano quasi un mese di viaggio. Chi c'era stato raccontava di autostrade gigantesche, di grattacieli incredibili, di ragazzi minorenni che guidavano macchinoni enormi; tutti sognavano di potervisi recare un giorno.
Intanto ci accontentavamo di ascoltare i dischi di Frank Sinatra, di Frankie Lanie, Nat King Cole, del Platters, di Pat Boone. Ci impegnavamo a tradurre e a trascrivere i testi delle canzoni e così finalmente imparammo un po' di inglese.

Quando ci avvicinavamo con i gozzi alla portaerei, i marinai in jeans e camicia azzurra ci salutavano dall'alto con cordialità. Si seppe che alla Duchesca, con un tempismo perfetto, si vendevano i pantaloni di questa tela particolare, e tutti i ragazzi di Napoli, pur di emulare gli americani, si vestirono con quella che era la divisa dei marines. A Forcella si trovavano due marche di jeans: i Wescott, più leggeri, e i Lee, che vestivano meglio.
C'erano anche delle splendide maglie blu di lana, aderenti, con il collo allla lupetto e con l'etichetta U.S.A. . Le portavamo tutti; anche 'Zi Rafele, il marinaio di Riva Fiorita, ne possedeva una che indossava d'inverno. Ci sentivamo tutti un po' americani, anche perchè, a Posillipo e a Lucrino, vennero ad abitare gli ufficiali in forza alla NATO
Quasi in ogni villa e in ogni condominio c'era una famiglia d'oltreoceano. I proprietari delle case erano ben lieti di affittarle a cifre proibitive per gli italiani. Noi invece eravamo felici di aggiungere ai nostri amici i vari Tommy, Jeremy, Johnatan, Kate etc, che pur essendo nostri coetanei, avevano già conosciuto due continenti, e questo accresceva il loro fascino!
Scimmiottavamo le abitudini di questi nostri ospiti. Scoprimmo gli hot dogs, gli hamburger, le caramelle col buco, la coca cola, la marmellata di arachidi, il pop corn.
Eravamo estasiati dai frigoriferi enormi e bombati che vedevamo nelle loro cucine e da quel grosso camion dodge giallo , con la targa AFSE che portava i figli degli ufficiali alla scuola della Nato.

Ritornando alla Forrestal, ci abituammo alla sua presenza alterna ma nel complesso assidua nel golfo e a volte vedemmo anche partire ed atterrare gli aerei su questa gigantesca pista in mezzo al mare.
Era emozionante!!
La Forrestal alla fonda al Molo Beverello
La portaerei in navigazione di fronte a Mergellina

sabato 21 novembre 2015

Peppe 'o russo

L'ho conosciuto quando già non era più rosso di capelli, ma aveva la pelle chiara e le guance rubizze. Sedeva imponente nel centro della sua barca a remi.
Pantaloni beige al ginocchio, una canottiera chiara dalla quale spuntavano sugli omeri e in petto dei ciuffi di peli bianchi e rossastri. Aveva dei baffoni spessi e gonfi, e altrettanto spesse e gonfie erano le sue basette che venivano fuori da un fazzoletto annodato ai quattro angoli che, bagnato in mare e calzato, gli riparava la coccia dal sole. 
Peppe 'o russo fungeva da taxi del mare. Dagli yacht ancorati al Cenito accompagnava i navigatori a salutare gli amici che li attendevano nelle ville a mare, o viceversa, traghettava gli inquilini delle ville a visitare le barche, noleggiate ai circoli, che sostavano nella rada.
Spesso recuperava e trainava i ragazzini che si erano allontanati troppo con i canotti di gomma, sfuggendo agli sguardi vigili dei genitori. Tutto questo, logicamente, a remi.

Quando eravamo piccoli, mio fratello ed io , facevamo i bagni al Cenito.
Scendevamo le scale sotto allo chalet di Villa Gallotti e raggiungevamo il pezzetto di molo che si trova fuori alla grotta. Lì ci aspettava questo vecchio marinaio.
Con nostro padre salivamo sulla sua barca e lui ci traghettava sulla spiaggia del Cenito.
Nostra madre ci raggiungeva più tardi. 
Se Peppe 'o russo non era in zona, la vedevamo arrivare a nuoto, con una borsa in bilico sulla testa. In questa borsa portava dei panini per noi e della frutta. Nuotava piano piano, con la testa fuori dall'acqua, e stranamente riusciva a portare a destinazione i viveri ancora asciutti.

Nel frattempo, prima di venire a riprenderci, Peppe 'o russo aveva fatto tanti altri tragitti, anche da uno stabilimento all'altro. A volte si spingeva fino a Marechiaro.
Penso che partisse da Villa Martinelli o da Grotta Romana, perchè al tramonto spariva in quella direzione.

Quando tornavamo a casa facevamo le corse per farci la doccia in terrazza.
Chi arrivava per primo poteva usufruire dell'acqua calda che veniva fuori dalla cannola esposta a sole...

Lo scoglio del Cenito visto dalla baia





sabato 14 novembre 2015

La navetta

Negli anni '60, si aprì una voragine all'altezza dell'ingresso di Villa Ruffo su Via Posillipo, subito prima del cancello del Cenito.
I lavori non furono semplici, anche perchè il pezzo di strada crollata faceva parte di un ponte.
I disagi per i residenti furono notevoli, in quanto, per raggiungere il Capo bisognava fare il giro salendo per Rione Carelli e riscendendo per Cupa Angàra e viceversa.
Si ovviò a questo inconveniente facendo costruire dai Genieri un ponte in ferro e legno che potesse riavvicinare i due tronconi di strada. 
C'era però un problema: questa brillante soluzione provvisoria, avviata mentre i lavori stradali procedevano, poteva sopportare il peso delle auto, ma non quello degli autobus. E allora fu deciso che l'allora 240 fermasse a Piazza San Luigi e che una navetta più piccola e leggera completasse il tragitto fino al capolinea.
Ormai tutti noi che abitavamo più su della piazza, scendevamo dal bus e cambiavamo mezzo.

Un pomeriggio d'inverno, con una libecciata da mare forza sette, tra forti raffiche di vento e una pioggia battente che ci aveva accompagnato lungo tutto il percorso, l'autobus con i pochi viaggiatori si fermò, come sempre, a Piazza San Luigi.
Scendemmo tutti, tranne un vecchietto infreddolito che rimase rannicchiato nel suo seggiolino.

Un ragazzo gli disse : " 'O no', amma scennere!"
e lui : "Ma je aggia 'i 'o capo!" .
-"No, 'o no', mo amma piglià 'a navetta"
e lui, smarrito e spaventato, guardando il mare in tempesta oltre il parapetto di Villa Martinelli, mormorò in un soffio :"Ma pecchè, giuvinò, mo jammo pe' mmare?" ...
1959: uno dei “nuovissimi” ALFA 911 – Aerfer OCREN prende servizio sul 240 (coll. E. Bevere)



1961: il capolinea provvisorio di p.zza S. Luigi con filobus e navette (Foto Archivio Ruggieri)


Ringraziamo il sito www.clamfer.it per le foto 






sabato 7 novembre 2015

La "pusteggia" di Giggino il cantante

Nelle sere d'estate, dopo il lavoro e dopo cena, noi ragazzi ci incontravamo sul muretto di fronte al ristorante di Giuseppone a Mare. 
Quel locale era molto in voga e ben frequentato, sia per la buona cucina che per l'incomparabile visione del golfo illuminato che si godeva dai tavoli.
Anche l'accoglienza era cordiale, e veniva completata da un trio composto da Giggino il cantante e dai suoi accompagnatori. 
Giggino era moro, con i capelli lisci che portava pettinati con la fila e aderenti sulla testa; i suoi compagni suonavano uno la chitarra, l'altro il mandolino. 
A volte a questo concertino si aggiungeva un altro personaggio, un macchiettista sosia di Totò, del quale imitava le smorfie e i gesti, essendo effettivamente la sua controfigura nei suoi film.
Fra qualche lieve tintinnio di bicchieri, e qualche altrettanto lieve rumore di stoviglie, Giggino dava sfogo a tutto il suo repertorio. 
" 'Na sera 'e maggio, 'o marenariello, anema e core, mandulinata 'e Napule, canzone appassiunata e tante altre canzoni deliliziavano noi e gli avventori del ristorante.
Tra questi, nel tempo, riconoscemmo Rossellini e Ingrid Bergman, Dino de Laurentiis con Silvana Mangano e i loro bei bambini, Amedeo Nazzari e la moglie, alcuni giocatori del Napoli di allora, Silvana Pampanini, Giacomo Rondinella e lo stesso Totò (quello vero) con Franca Faldini.

Ritornando a casa in macchina, spesso aspettavo Giggino e compagni per dar loro un passaggio fino alla sovrastante Via Posillipo. Me ne erano molto grati. Una sera chiesi se nel loro repertorio ci fosse "Io, 'na chitarra e 'a luna" . Mi risposero che no, non faceva parte delle canzoni del loro repertorio.

Ma dopo un paio di settimane, mentre come al solito aspettavamo di ascoltare la musica, vidi Giggino alzare un braccio nella mia direzione, dicendo forte : "Signorina Maria, chesta è pe' vvuje!" .
E in mio onore attaccarono la canzone che mi piaceva e che avevano preparato apposta per me.
Commossa, confusa, arrossita dalla testa ai piedi, avrei voluto lanciarmi in acqua al di là del muretto, per evitare tutti quegli sguardi meravigliati rivolti alla mia persona. Eppure, nei miei ormai tanti anni di vita, quello è stato l'omaggio più sincero e gradito che io abbia mai ricevuto.