lunedì 27 febbraio 2017

Una terrazza sul mare

Costruita arditamente su una delle grotte del cantiere Posillipo, la terrazza di Villa Fernandes dove affittavamo casa e dove abbiamo vissuto tanti anni, si trova in posizione strategica.
190 scalini la separano dalla spiaggetta privata e dalla rada di Riva Fiorita e dall'alto la vista spazia da Castel dell'Ovo fin quasi a Pietra Salata.
Praticamente avevamo sott'occhio tutto quello che accadeva nel golfo.
Essendo un po' sopraelevata rispetto a questo palcoscenico naturale, ci sembrava di stare in loggione.
Di faccia avevamo il Vesuvio e tutti i paesini della costiera sorrentina fino alla Punta della Campanella.

Oltre al quotidiano passaggio di pescherecci, barche, gozzi, motoscafi e vaporetti, assistevamo dall'alto agli inseguimenti degli enormi, velocissimi scafi blu dei contrabbandieri di sigarette da parte della guardia di finanza e della guardia costiera.
Vedevamo anche un palombaro che si vestiva nella sua barca appoggio e indossava lo scafandro, l'elmo, i pesi e le scarpe di ferro. Poi si calava in acqua al centro del porticciuolo, e l'uomo che lo accompagnava cominciava a pompare aria, girando lentamente una ruota alloggiata nello scafo.
Ero bambina e tante volte ho temuto che una distrazione o un malore della persona che rimaneva in barca potessero interrompere il flusso d'aria che permetteva al palombaro di camminare e sostare sott'acqua.
Era un sollievo vederlo riemergere sano e salvo!
Non ho mai saputo quali frutti di mare raccogliesse, perchè noi lì non ne abbiamo mai trovati; ricordo però che sul fondo c'era visibilissima l'ala di un aeroplano che era stato abbattuto durante l'ultima guerra e che dopo anni fu finalmente imbracata e portata via.

Quando il sole tramontava, 'Zi Peppe arrivava con la sua barchetta, nella quale prendevano posto Gennaro il Gentiluomo, a volte Barbetta o chiunque si offrisse di accompagnarlo, e lanciava la rete.
Bisognava essere in tre.
'Zi Peppe remava in circolo, Gennaro batteva con forza due pezzi di legno sui bordi della barca, il terzo lanciava in acqua una pietra ingabbiata in una sagola, che ritirava su e lanciava di nuovo.
Noi eravamo abituati a questo rituale, e sapevamo che era un modo collaudato per catturare i pesci che, spaventati dal rumore, sarebbero finiti nella rete; però, ogni volta che li vedevo pensavo che, visti da un settentrionale o da un montanaro, sarebbero sembrati tre matti in libertà, e mi veniva sempre da ridere.

La sera, nelle notti senza luna, una o due lampare esploravano senza sosta la rada, e con la luce forte riconoscevamo gli scogli dai quali ci tuffavamo di giorno e le chiane coperte di alghe e di cozze.

Ma il ricordo più bello si riferisce al 1960, anno delle olimpiadi di Roma, durante le quali le regate veliche si svolsero a Napoli.
Vi parteciparono cinque classi: FINN, STAR, 550, Flying Dutchman, e Dragoni (in quest'ultima vinse Costantino, Re di Grecia).
Il golfo fu invaso da vele di tutti i colori, che prendevano dimestichezza con le correnti prima di gareggiare.
Arrivarono le navi scuola di tutti i paesi partecipanti, con i marinai schierati e allineati, in piedi, tutti rivolti verso la costa in atto di omaggio alla città che li ospitava.
Fu una grande festa, anche per gli occhi!
Inutile dire che erano presenti sia la Palinuro che la Amerigo Vespucci, e che, ancora una volta, notammo che erano più belle di tutte le altre.
E ancora, in estate, quasi ogni sera, in occasione di qualche festa patronale (poichè ogni paesino vesuviano festeggiava il suo santo) si udivano da lontano piccole esplosioni seguite da pochi minuti di fuochi artificiali.


Una regata dei Dragoni nei Giochi Olimpici del 1960 - Fotografia da Gazzetta.it

L'Amerigo Vespucci a Napoli - Foto dal sito http://navidalmondo.blogspot.it