mercoledì 23 febbraio 2022

L'isola... che non c'è

In estate, quando ero ragazza, alle 6.40 prendevo il caffè in terrazza con mia madre.
Orario tranquillo, sole ancora basso, e mare appena increspato. Ci teneva compagnia una lucertola, che appena sentiva la mia voce sbucava da una feritoia sotto la terrazza, aspettandosi sempre qualcosa.
L'avevo "conosciuta" qualche mese prima, quando appoggiata alla ringhiera addentavo una nocepesca e lei dalla sua tana, sporgendo la testina e inclinandola per guardarmi con un occhio, aspettava che qualche goccia del frutto cadesse giù per acchiapparla al volo. Da allora le davo sempre qualcosa: un nervetto di carne, un pezzo di mela, un biscotto...

Mamma aspettava questo momento perché si divertiva molto ad ascoltare i miei sogni, che in effetti erano sempre ben congegnati. Sembravano dei film d'azione, di avventura, gialli, di intrighi internazionali, di corti marziali, di aule giudiziarie con personaggi assurdi o reali. A volte ero testimone, a volte estranea, a volte protagonista. 
Se allora ci avessi pensato, avrei potuto prendere appunti e scrivere qualche sceneggiatura, ma una volta raccontati questi sogni svanivano in fretta. Uno solo ne ricordo, ed è ancora vivido in me. 

Immediatamente prima dell'alba, quando il mare tranquillo aveva i colori delicati della madreperla e da dietro al Vesuvio arrivava per il momento soltanto la luce -che di lì a poco avrebbe colorato in rapida sequenza il cielo di rosa, viola, rosso, fucsia, oro- , vidi spuntare più o meno a 800 metri dalla riva uno scoglio che veniva su rapidamente come un fungo.
Non dissi niente a nessuno. Dovevo arrivare per prima. 
Mi precipitai per le scale che portavano a mare, e nuotando più velocemente possibile (come nei fumetti Paperino inseguito dallo squalo) raggiunsi questo scoglio affiorante e salendoci ne presi possesso.
Nel frattempo il sole fiammeggiava dietro la Montagna e io pensavo "E' mia, questa secca è mia!".
Avevo letto che in un caso del genere la prima persona che mette piede su questa nuova terra ne diviene proprietaria. Non ero più nella pelle per la felicità. Nel sogno si stava avvicinando con la barca Luigi, il pescatore del Casale, mentre Ciro, il portiere di Riva Fiorita, seguiva tutto dalla scogliera.
Anche gli operai del Cantiere mi avevano visto. 
Mi trattenni ancora un po', e tutti confermarono che io per prima avevo "occupato" quella che ormai consideravo la mia isola, anche se di dimensioni piccolissime.
Risalii a casa, eccitata, contenta, ed andai ad affacciarmi in terrazza per vedere dall'alto il mio possedimento. Ma mentre estasiata lo guardavo, sperando che potesse emergerne ancora una parte, l'isola fu di nuovo inghiottita dal mare... e sparì.
La delusione fu enorme.

Praticamente era successo nel mio sogno quello che accadde davvero all'isola Ferdinandea nel 1831.
Fra Sciacca e Pantelleria spuntò dal mare improvvisamente una piattaforma che fu chiamata, in onore del re Ferdinando II, Ferdinandea, e subito, su questa nuova terra, estesa più o meno per un chilometro quadrato, fu apposta la bandiera borbonica. ma gli inglesi, di cui Malta era allora colonia, ne reclamarono il possesso, apponendo a loro volta sul nuovo suolo, la bandiera britannica.
Ma mentre le due potenze litigavano attribuendosene il possesso, dopo sei settimane l'isola, così come era emersa, si inabissò scomparendo del tutto, e ancora adesso giace a otto metri di profondità.

La "mia" isola, invece, ancora sopravvive nel ricordo di un sogno.

L'isola Ferdinandea in un quadro di Camillo de Vito
L'isola Ferdinandea in un quadro di Camillo de Vito