mercoledì 14 dicembre 2022

I Lignano seniores. Le vacanze serene di una coppia affiatata

Dedicato a Marco, Alberto, Irene, Silvana e Nando


Marito e moglie, posillipini autentici.
A metà mattinata scendevano a Riva Fiorita con la loro utilitaria e la riponevano nella grotta-parcheggio dove l'avrebbero ritrovata fresca al loro ritorno.
Il marito prendeva dall'auto la tanica con la nafta e si recava da Zì Rafele, che lo aspettava sulla banchina a fianco alle docce per consegnargli i remi e l'ancora che aveva custodito in una delle cabine sotto la terrazza, e poi lo traghettava sulla barca. La signora, intanto, si era recata sulla spiaggia, e salutava innanzitutto sua figlia, il nipotino e il genero, che invece scendevano a mare la mattina presto. Poi c'era un rapido giro di saluti a tutta la prima fila di ombrelloni, impiantati quasi sul bagnasciuga.
Intanto suo marito, con un pantaloncino candido e un cappello bianco di stoffa con le falde, dopo aver travasato la nafta nel serbatoio del fuoribordo, e aver fatto partire il motore, sganciava la cima dal passacavi e prelevava dalla spiaggia la moglie e il nipote.
Il ragazzino biondo, longilineo, con una perfetta abbronzatura dorata, raggiante di felicità raccoglieva maschera e pinne e saliva sulla barca del nonno. Sapeva che, superata la scogliera di villa Rosebery, seduto accanto al papà di sua madre, questi gli avrebbe permesso di tenere il timone. La nonna, liberatasi dalla vestaglietta di cotone, sedeva beata a prua nel suo costume nero. Passavano lentamente sotto costa, accompagnati dal lieve borbottio del fuoribordo, e godevano appieno la "bella giornata" di cui parla La Capria.
Uno, due, tanti bagni, dove più gradivano, e tappa nella calma baia di Trentaremi per uno spuntino portato da casa. 
Nel percorso inverso spesso arrivavano fino a palazzo Donn'Anna, e rientravano poi appagati e trionfanti nel porticciolo di Riva Fiorita. Una volta arrivati a casa, mentre stendevano ad asciugare i teli e i costumi dopo averli sciacquati, si affacciavano al balcone per vedere di nuovo il mare, perché ai posillipini veri il mare... Non basta mai.





lunedì 7 novembre 2022

Nostalgia

A Posillipo, sia in estate che in inverno dormivo con la finestra aperta.

L'aria pura mi portava odore di mare, di salsedine, di resina, dei gerani della ringhiera, dei gelsomini della terrazza. Il mio olfatto allenato, fra tutti questi profumi, percepiva perfino l'odore ormai familiare del tufo umido delle grotte sulle quali si ergeva la villa. 
Quando c'era vento sentivo gli alberi che ondeggiavano cigolando, e già sapevo che l'indomani avremmo trovato nei viali tante pigne cadute insieme ai ciuffi più teneri degli aghi di pino.

Alle sette Michele il portiere faceva il giro delle case e ci portava il pane e il giornale. Poi iniziava il passaggio degli operai che scendevano in fila indiana lungo le strette scalette che portavano al mare. Tutti loro raggiungevano il cantiere tagliando per Villa Gallotti, anziché per la discesa di Giuseppone, che avrebbe allungato di parecchio il loro cammino.
Intanto i pescatori con i gozzi, i cui motori sembravano borbottare nel silenzio, si ritiravano dalla pesca notturna ed erano sempre seguiti da uno stormo di gabbiani che faceva in aria un allegro girotondo attorno alla poppa. 
Altri gabbiani volteggiavano in alto, emettendo grida rauche, e a seconda dell'inclinazione del loro volo, macchiavano momentaneamente di bianco e di grigio il cielo turchino.

Il Vesuvio come sempre si manifestava nella sua imponenza e nella sua maestosità. 
Con questi ritmi, con questa armonia, con tutta questa bellezza, aveva inizio un'altra giornata.

Riva Fiorita in una cartolina degli anni '60. In alto a Sinistra Villa Fernandes - Foto da Internet


sabato 8 ottobre 2022

Il Cinema Posillipo

Nel 1961, a Posillipo ci fu una grossa novità.

Di fronte a villa Costa, accanto all'edicola di Antonio il giornalaio, si vedevano da mesi lavorare degli operai nella campagna sotto la strada. Le persone erano piuttosto incuriosite, finché qualcuno azzardò che stessero costruendo nientemeno che un cinema.
I posillipini non erano molto cinefili, anche perché allora andare al cinema significava "scendere a Napoli", e la pigrizia aveva spesso il sopravvento. La sala cinematografica più vicina era il Maximun, nella traversa di fronte agli imbarchi degli aliscafi a Mergellina, e quando un film riceveva vari commenti positivi dalla critica, ci si accontentava a volte di vederlo lì, anche se in terza visione.

Dopo qualche tempo arrivò effettivamente il giorno dell'inaugurazione. 
Il Cinema Posillipo dalla strada non si vedeva. Si varcava un cancello e a sinistra due rampe di scale portavano giù al minuscolo botteghino e a quattro file di seggiolini nascosti da una pesante tenda, che formavano il loggione; scendendo ancora si arrivava alla sala. Dietro al vetro del botteghino si alternava la coppia dei proprietari, ed era sempre presente un bel gattone bianco con un fiocco rosso. 
Il cinema era stato costruito su tre terrazzamenti della campagna sottostante via Posillipo, lo schermo si trovava al centro di due enormi vetrate, dalle quali si vedevano i grossi tronchi di due giganteschi pini (fortunatamente risparmiati dai lavori), mentre le loro cime svettavano ben oltre la costruzione. Il tutto era molto scenografico, ma in estate la luce eccessiva del tramonto (ora della prima proiezione) disturbava la visione dello schermo; mentre in inverno i due finestroni, anche se venivano chiusi, lasciavano passare spifferi e gelo.
Il cinema non era mai affollatissimo, ma incontrò anche perché proiettava anche film classici che alcuni potevano avere piacere di rivedere, o film leggeri per sorridere, o western. L'atmosfera era familiare e casareccia.
Si andava al cinema senza cambiarsi d'abito, a differenza di come si sarebbe fatto in città. I più freddolosi in inverno portavano un plaid da poggiare sulle gambe, per ripararsi dal freddo; qualcuno si presentava addirittura con la borsa dell'acqua calda. Altri provvedevano a portare da casa dei cuscini da adattare sugli scuri, scomodissimi sedili in legno dalla seduta ribaltabile. 
C'era una signora che abitava di fronte al cinema, che fra il primo e il secondo tempo del film correva a casa a spegnere il forno dove aveva messo a cuocere la cena, e si raccomandava di aspettarla per riprendere la proiezione. E l'aspettavano!
Lei, trafelata, ritornava ringraziando tutti.

Un'altra volta, in estate, mi trovai con due sorelle che dopo il film dovevano andare a una cena. Vennero al cinema con due fazzolettoni che coprivano le loro teste piene di bigodini. Nelle due ore di proiezione i capelli si sarebbero asciugati da soli. 

Ricordo la maschera: un signore alto, magro, pelato, con la faccia lunga e gli occhi vicini vicini. Gentilissimo, faceva entrare in sala se c'era da fare una imbasciata urgente a qualcuno degli spettatori, che risultava presente perché aveva lasciato la macchina fuori.

Che tempi irripetibili... 

Il cinema Posillipo - foto da internet


sabato 17 settembre 2022

Le maree

Sono sempre stata attratta dal fenomeno delle maree. 
Ho studiato, come tutti, la teoria secondo la quale queste dipendano dalla forza gravitazionale che esercitano la luna e il sole sulla terra. 
Confesso, a mio scorno, di non aver mai ben capito, né approfondito le spiegazioni in materia, pur supportate dagli studi di emeriti scienziati.
Ho sempre voluto considerare come qualcosa di misterioso e magico quei periodici e regolari cambiamenti del livello del mare. 
La mia esperienza diretta di semplice spettatrice, può riferirsi soltanto alla bassa marea, quando gli scogli sotto casa, che al mattino erano completamente sommersi, all'imbrunire apparivano diversi. Il mare calmo impercettibilmente si ritirava. La risacca perdeva forze e indietreggiava lentamente riducendo la sua ampiezza. 
Le chiane, non più completamente coperte dal mare, affioravano mostrando dei piccoli avvallamenti come minuscole pozzanghere, nelle quali pesci microscopici e rapidissimi si inseguivano per gioco. Ciuffetti di alghe emersi anch'essi, profumavano l'aria di mare e di sale. Nell'immergersi per fare il bagno l'acqua era tiepida e molle, e si aveva l'impressione che fosse più densa rispetto al mattino. Una scia indolente e lenta seguiva le barche a motore che si ritiravano. Nel successivo silenzio, uno sciabordio leggero faceva un rumore delicato, accarezzando le fiancate dei "canotti" ancorati per la notte, che dondolavano appena. 
Il mare placido respirava piano, inducendo a una pace interiore. 
Più tardi, dall'alba in poi, l'alta marea avrebbe pian piano rimesso le cose a posto... E tutto sarebbe ricominciato.

Le maree, alla nostra latitudine comportano una variazione di altezza di un metro circa
(A Mont Saint-Michel e a Saint-Malo fino a 15 metri) dandosi un graduale cambio entro le dodici ore. 

Una delle "chiane" a Marechiaro - foto di Riccardo Vosa


venerdì 22 luglio 2022

Il Lido Militare

Ci fu un anno in cui tardammo a trasferirci a Posillipo per la villeggiatura.
La scuola era finita, le giornate erano lunghe, calde e splendide, e il richiamo del mare per me era irresistibile.
Credo di aver avuto allora otto anni, quando mia nonna, moglie di un ufficiale di Marina, mossa a compassione, accettò di accompagnarmi a Miseno, usufruendo così per la prima volta dell'opportunità che veniva concessa alle famiglie dei militari, quella di trascorrere le giornate al mare, con il trasferimento che veniva effettuato tramite camion messi a disposizione direttamente dal comando.

Allora le macchine erano rarissime, e uscire dalla città rappresentava un'avventura straordinaria. Il camion militare che ci portò al mare era un mezzo telonato, con un telo bianco e doppio. 
Noi bambini, intimoriti ed eccitati, salimmo la scaletta esterna e prendemmo posto sulle panche laterali in legno. C'erano 5 o 6 camion uguali, parcheggiati in fila davanti al palazzo Salerno. Partirono tutti insieme in colonna, trasportando bambini felici. Avemmo modo di vedere per la prima volta Pozzuoli, la via per Miliscola ombreggiata dai pini. 
Da Lucrino in poi, fino a Baia e Bacoli, tante, ma tante piante di oleandri bianchi e rosa, alternati.

Giunti a Miseno, il pezzo di spiaggia dato in concessione alla Marina ci sembrò enorme.
Ci accolsero dei marinai. Gli ombrelloni e le sdraio tutte uguali e allineate, poggiavano sulla rena rastrellata di fresco e ancora umida.
Non gradii molto la sabbia, perché ero abituata agli scogli di Posillipo, ma la giornata era talmente bella e luminosa e la gita "fuori porta" così coinvolgente che accettai volentieri la novità, e giocai a lungo con questi nuovi amichetti. 
Durante il ritorno a Piazza Plebiscito, dopo una giornata di sole, all'aria aperta, i bambini più piccoli si addormentarono, e sorridevano nel sonno.




sabato 2 luglio 2022

Grottaromana

Probabilmente sarà stata una grotta preistorica, poi diventò sacro tempio romano. 

Con la strada voluta da Murat, che portò successivamente alla costruzione delle ville a mare, fu riscoperta e valorizzata. 
La si raggiungeva dalla strada dopo aver varcato un cancello e vi si accedeva scendendo scalini e vialetti stretti ai lati dei quali fiorivano piante spontanee. Davanti alla grotta, una piattaforma un po' alta sul mare rappresentava l'arrivo e da lì la vista spaziava godendo la bellezza del golfo. Si pensò di farne uno stabilimento balneare, e in effetti per anni fu frequentato dalla buona borghesia di Napoli. Le piante incolte furono sistemate e su ogni scalino per scendere fino al mare furono posti dei vasi con gerani rossi. 
Il lido era accogliente, dotato dell'unico trampolino di Posillipo, costruito in punta alla piattaforma. 
A nuoto o in barca, quando eravamo ragazzini, ci recavamo a frotte a Grottaromana, salivamo di nascosto la scaletta, ci infiltravamo tra i bagnanti paganti e provavamo l'ebbrezza di un paio di tuffi, spesso interrotti dal fischietto del bagnino che ci aveva scoperti.

A Grottaromana la sera si ballava: qualche orchestrina, un paio di cantanti, il mare, la luna, le stelle...

Poi a Posillipo, a Marechiaro, a Lucrino, arrivarono gli americani.
Verso la metà degli anni '50 gli Stati Uniti erano considerati modello di prosperità e di ricchezza in tutto il mondo, e la presenza di questi nuovi ospiti incuriosì e portò un'assoluta ventata di novità che alterò il ritmo tranquillo degli autoctoni e dei villeggianti di Posillipo. 
Gli americani scoprirono il dancing di Grottaromana, e così le orchestrine improvvisate furono rapidamente sostituite da musicisti e jazzisti famosi.

I ragazzi di Piazza San Luigi trascorrevano le serate sul muretto fuori al cancello del dancing, e ci raccontavano di aver visto entrare a ballare Jane Mansfield, Ernest Hemingway, Farouk d'Egitto (che ogni estate veniva a Napoli e parcheggiava il suo yacht fuori via Caracciolo), Clark Gable con una giovanissima Sophia Loren, allora agli esordi, Ester Williams.
Frequentavano di sera Grottaromana anche gli scrittori allora di grido: Domenico Rea, Raffaele La Capria, Michele Prisco, Mario Pomilio (che ebbi poi la fortuna di avere come professore di Lettere al Mercalli). Anche Lucky Luciano, boss della mafia d'Oltreoceano, dopo aver aver scontato in America la sua condanna, fu visto spesso giù al dancing.

Da Giuseppone noi rispondevamo dicendo che al ristorante venivano a cena le squadre di calcio al completo (oltre al Napoli, Inter e Milan quando giocavano in trasferta, Totò con Franca Faldini, Rossellini e Ingrid Bergman, Dino de Laurentiis e Silvana Mangano, Amedeo Nazzari e la moglie, Giacomo Rondinella, Nunzio Gallo, e lo stesso Re Farouk con una delle mogli.

Le sere in cui si ballava a Grottaromana automobili americane dai colori improponibili (rosa, azzurro chiaro, senape, arancio, con le immancabili gomme bordate di bianco) sostavano nell'emiciclo di piazza San Luigi accanto a un paio di sparute 600 -che allora in Italia erano un lusso- e venivano circondate, ammirate e contemplate a lungo dai ragazzini.
Erano macchine enormi, che avevamo visto solo nei film.
Anche le auto facevano parte del "sogno americano". Mi ricordo ancora le marche : Chevrolet, Buick, Ford, Cadillac, Chrysler...

Poi il declino, l'abbandono, l'incuria, l'oblio... 
Eppure quel magico tratto di litorale, al di là della sua enorme bellezza, avrebbe così tante storie da raccontare.

Grottaromana in una foto d'epoca grazie a Paolo Nasti


Una Lincoln Premier del 1957


Panorama di Posillipo con Grottaromana in primo piano - archivio Gennaro Improta

Volantino pubblicitario del lido di Grottaromana


domenica 15 maggio 2022

Cauchetto

In ricordo di Carlo Adamo, che ci ha lasciato un anno fa.

Carlo, anche conosciuto come Cauchetto, era figlio di Salvatore il bagnino
Allegro e spiritoso, sempre pronto a organizzare scherzi e partite di pallone sulla spiaggetta di Riva Fiorita, era diventato il punto di riferimento di tutti i ragazzini villeggianti.

Dopo le interminabili partite che duravano dalla chiusura dello stabilimento fino al crepuscolo, tutti loro, capeggiati da lui, si tuffavano in mare e nuotavano fino alla punta della scogliera. 
Simpatico, con la faccia di bravo ragazzo, muscoloso e forte, era benvoluto dall'intera comunità di Riva Fiorita.

Al Circolo Posillipo, dove si iscrisse quando diventò più grande, fece subito amicizia con i soci, gli atleti, i marinai e i camerieri. Aveva una parola buona, una battuta e un sorriso per tutti. Sapeva stare bene con gli adulti e con i bambini ai quali, con pazienza, raccontava storie e dava spiegazioni rispondendo ad ogni loro domanda. Ricordo, ad esempio, di avergli sentito spiegare a un bambino di cinque anni come funziona un aereo e anche come si formano i temporali.
Imbattibile nei giochi di carte, anche sul campo di tennis dove giocava una partita dopo l'altra, era difficile tenergli testa. Tutta questa iperattività che lo contraddistingueva e che gli era congeniale, fu purtroppo bloccata da un ictus che lo colse a soli 57 anni. 

Lui, così attivo, fu costretto su una sedia a rotelle. Con tanta fisioterapia riuscì a recuperare la parola e parte della mobilità. Tutti speravamo che potesse rimettersi in piedi, ma purtroppo non fu possibile. Accettò questa menomazione come un nuova condizione, un nuovo stadio della sua vita, e non si lamentò mai. Fece amicizia con i fisioterapisti che si alternavano e che lo trattavano con affetto e con rispetto. Con il suo carattere di uomo buono e sincero, non faceva pesare questo suo handicap e continuava a tenere banco con le sue battute, i suoi ricordi, i suoi aneddoti. Gli piaceva molto leggere, ma un sopraggiunto diabete gli abbassò la vista, costringendolo a soprassedere. Anche questa volta accettò l'ulteriore limitazione senza lamentarsi. Con lui si rideva e si sorrideva. Ricordava tutto, e raccontava con dovizia di particolari episodi comici e i fattarielli di Riva Fiorita, che lo avevano visto nel tempo testimone e a volte partecipe. 

Pur essendo tanto più giovane di me, i nostri ricordi spesso si accavallavano, e le sue memorie sono state per me uno stimolo per raccontarle insieme alle mie.

Quando andavo a trovarlo, salutandolo lo abbracciavo. Lo sentivo sempre più fragile e rassegnato. 
Ha lasciato un gran vuoto tra i grandi, i piccoli, gli amici e i conoscenti, che lo ricordano con gratitudine per la sua grande gentilezza e per il suo buonumore.

Riposa in pace, Carlo, e grazie per la tua amicizia e per il tuo esempio.





sabato 30 aprile 2022

La scorciatoia in campagna

Penso che a Napoli non siano in tantissimi a conoscere il viale Calascione, che invece negli anni '50 era molto frequentato dagli abitanti di Monte di Dio e dell'Egiziaca a Pizzofalcone, perché collegava rapidamente la collina di Monte Echia con la sottostante piazza dei Martiri e quindi Piazza Vittoria e il lungomare. 

Si chiama "viale", ma in effetti del viale non ha nulla. E' una strada cieca, alla quale si accede passando sotto un accenno di galleria che collega tra loro due palazzi. Si trova a una cinquantina di metri dal teatro Politeama. 

La particolarità di questo viale consisteva in una scalinata che inaspettatamente trovavi alla fine della strada, a sinistra, e che era protetta da un cancello. Varcato il cancello, sulla destra apparivano la collina di Posillipo e il mare; di fronte c'erano le aule e le camerate della Nunziatella, mentre lateralmente, scendendo, si ammirava la terrazza di Villa Wenner (unico palazzo di Monte di Dio con giardino), che posa su grandi grotte di tufo chiamate Platamonie, presenti fino al Chiatamone, che da esse prende il nome. Alcune sono murate e rinforzate con pilastri per sostenere i palazzi della collina di Monte Echia. La leggenda vuole che all'interno di una di esse ci si dedicasse al culto del dio Mitra.

Questa discesa che -portava a Cappella Vecchia- era chiamata Rampe Caprioli. Terminate due rampe di scale, c'era un banchetto dietro al quale una donna scarmigliata e senza sorriso riscuoteva con sgarbo la tariffa per il passaggio. 

Si pagava una lira (sì, una lira!) che fu successivamente portata a due. 

Questa megera era la moglie di un contadino che lavorava la terra sottostante, accanto alla quale iniziava un percorso in discesa a zig-zag, passando tra alberi, prati incolti, cespugli di rosmarino, margheritine spontanee e tanti trifogli. Era una breve ma bella scampagnata in città.

La donna, che accoglieva i passanti sempre con malagrazia, aveva ingegnosamente compilato dei pezzetti di carta con uno sgorbio che certificava l'importo già pagato per il prossimo passaggio, per quando non aveva il resto di due o di cinque lire.

Due bambini piccoli e coperti di stracci razzolavano nell'erba e nel terreno, mentre un altro, il fratellino più grande che aiutava il padre nel campo, facevano anch'essi parte della famiglia. 
La mia scuola aveva una terrazza che affacciava su questa campagna, e spesso nell'intervallo della ricreazione giocavamo lì a palla. 
Una volta la palla cadde nel campo e una suora, sorvegliandomi dall'alto, mi permise di andare giù a riprenderla.

Ricordo come fosse adesso che era una palla di gomma coloratissima. Era caduta sotto una pianta di broccoli di Natale, e il ragazzo più grande, convinto che io non l'avessi vista, già pensava di appropriarsene. La suora e tutte le mie compagne, affacciate alla ringhiera aspettavano, ed io, facendo l'occhiolino al ragazzino, comunicai in alto che il pallone l'avevamo trovato, ma che si era bucato nella caduta. Ricordo ancora lo sguardo di gratitudine che mi accompagnò fino al banchetto della madre esattrice.

Da quel giorno, ogni volta che dovevo passare dalla bellissima "scorciatoia", quando la madre non c'era a riscuotere il pedaggio, mi faceva passare e mi faceva l'occhiolino, o mi regalava qualche bigliettino firmato che valeva da lasciapassare. 

Purtroppo oggi buona parte di questi terreni è stata edificata e soltanto i residenti hanno la possibilità di usufruire di questa che è ormai una scorciatoia privata e che invece un tempo era un delizioso intermezzo bucolico in piena città.

View of a Villa, Pizzofalcone, Naples
Lancelot-Théodore comte de Turpin de Crissé, c. 1819




mercoledì 23 febbraio 2022

L'isola... che non c'è

In estate, quando ero ragazza, alle 6.40 prendevo il caffè in terrazza con mia madre.
Orario tranquillo, sole ancora basso, e mare appena increspato. Ci teneva compagnia una lucertola, che appena sentiva la mia voce sbucava da una feritoia sotto la terrazza, aspettandosi sempre qualcosa.
L'avevo "conosciuta" qualche mese prima, quando appoggiata alla ringhiera addentavo una nocepesca e lei dalla sua tana, sporgendo la testina e inclinandola per guardarmi con un occhio, aspettava che qualche goccia del frutto cadesse giù per acchiapparla al volo. Da allora le davo sempre qualcosa: un nervetto di carne, un pezzo di mela, un biscotto...

Mamma aspettava questo momento perché si divertiva molto ad ascoltare i miei sogni, che in effetti erano sempre ben congegnati. Sembravano dei film d'azione, di avventura, gialli, di intrighi internazionali, di corti marziali, di aule giudiziarie con personaggi assurdi o reali. A volte ero testimone, a volte estranea, a volte protagonista. 
Se allora ci avessi pensato, avrei potuto prendere appunti e scrivere qualche sceneggiatura, ma una volta raccontati questi sogni svanivano in fretta. Uno solo ne ricordo, ed è ancora vivido in me. 

Immediatamente prima dell'alba, quando il mare tranquillo aveva i colori delicati della madreperla e da dietro al Vesuvio arrivava per il momento soltanto la luce -che di lì a poco avrebbe colorato in rapida sequenza il cielo di rosa, viola, rosso, fucsia, oro- , vidi spuntare più o meno a 800 metri dalla riva uno scoglio che veniva su rapidamente come un fungo.
Non dissi niente a nessuno. Dovevo arrivare per prima. 
Mi precipitai per le scale che portavano a mare, e nuotando più velocemente possibile (come nei fumetti Paperino inseguito dallo squalo) raggiunsi questo scoglio affiorante e salendoci ne presi possesso.
Nel frattempo il sole fiammeggiava dietro la Montagna e io pensavo "E' mia, questa secca è mia!".
Avevo letto che in un caso del genere la prima persona che mette piede su questa nuova terra ne diviene proprietaria. Non ero più nella pelle per la felicità. Nel sogno si stava avvicinando con la barca Luigi, il pescatore del Casale, mentre Ciro, il portiere di Riva Fiorita, seguiva tutto dalla scogliera.
Anche gli operai del Cantiere mi avevano visto. 
Mi trattenni ancora un po', e tutti confermarono che io per prima avevo "occupato" quella che ormai consideravo la mia isola, anche se di dimensioni piccolissime.
Risalii a casa, eccitata, contenta, ed andai ad affacciarmi in terrazza per vedere dall'alto il mio possedimento. Ma mentre estasiata lo guardavo, sperando che potesse emergerne ancora una parte, l'isola fu di nuovo inghiottita dal mare... e sparì.
La delusione fu enorme.

Praticamente era successo nel mio sogno quello che accadde davvero all'isola Ferdinandea nel 1831.
Fra Sciacca e Pantelleria spuntò dal mare improvvisamente una piattaforma che fu chiamata, in onore del re Ferdinando II, Ferdinandea, e subito, su questa nuova terra, estesa più o meno per un chilometro quadrato, fu apposta la bandiera borbonica. ma gli inglesi, di cui Malta era allora colonia, ne reclamarono il possesso, apponendo a loro volta sul nuovo suolo, la bandiera britannica.
Ma mentre le due potenze litigavano attribuendosene il possesso, dopo sei settimane l'isola, così come era emersa, si inabissò scomparendo del tutto, e ancora adesso giace a otto metri di profondità.

La "mia" isola, invece, ancora sopravvive nel ricordo di un sogno.

L'isola Ferdinandea in un quadro di Camillo de Vito
L'isola Ferdinandea in un quadro di Camillo de Vito