lunedì 28 settembre 2020

Il Mausoleo

L'imponente cupola che si staglia contro il cielo della collina di Posillipo appartiene al Mausoleo, sacrario dei caduti per la Patria.

E' questa una costruzione voluta da Matteo Schilizzi, imprenditore livornese residente a Napoli, il quale voleva farne una tomba per sé e la sua famiglia. Certamente la mania di grandezza non gli mancava!

La costruzione fu iniziata nel 1883. 
I lavori imponenti furono sospesi nel 1889 e soltanto trenta anni dopo il figlio del costruttore completò il progetto iniziale.
Nel 1921 il comune di Napoli, che cercava un reliquiario per i caduti della guerra, ne propose la vendita e lo acquistò dagli eredi Schilizzi. 

E' questo in Italia l'unico cimitero di guerra ubicato in una città. Vi riposano gli eroi della prima e della seconda guerra mondiale, e ospita anche alcuni caduti delle Quattro Giornate di Napoli.

Il Mausoleo si raggiunge attraverso un lungo scalone, ai lati del quale due viali paralleli confluiscono in un ampio spazio sul quale poggia la chiesa. 
I viali sono ombreggiati da pini, cipressi, ed eucaliptus, e il profumo intenso delle loro essenze e delle loro resine -che ancora percepisco mentre scrivo- predispongono ad una sorta di purificazione nel raggiungere il luogo sacro.

Lo stile del mausoleo è particolare, ed emana una profonda suggestione e un fascino speciale.
Si tratta di una costruzione strana, maestosa e severa, molto eclettica e con stile egizio. 
All'esterno pietra scura, palmizi e cariatidi in bronzo. 
All'interno colonne tanto marmo bianco e grigio, intervallato da cornici di piperno decorate con palme e fiori di loto. 
Il soffitto in mosaico veneziano dona luce a tutto l'ambiente del vano absidale, mentre la calotta interna è dipinta con stelle dorate di ispirazione islamica. 
La grande cupola è invece ricoperta da formelle di rame dorato.

Quando ero ragazza frequentavo spesso il Mausoleo. 
La messa, officiata da un cappellano militare, si celebrava alle 11. 
Ci andavo con mio padre, e partecipavo davvero a questo rito, come d'altronde accadeva a tutti i presenti. L'imponenza di questo sacrario che però all'interno è ampio e luminoso, mette soggezione insieme a una dolce tristezza nel leggere di tanta gioventù sacrificata.

Ricordo una celebrazione solenne che si svolgeva annualmente in occasione del 4 novembre.
Nella giornata delle forze armate, drappelli di carabinieri, bersaglieri e altre armi, in rappresentanza dei caduti, prendevano posto in chiesa alle spalle dei parenti degli eroi ai quali si rendeva onore. 
Generali, colonnelli e graduati in alta uniforme, pieni di medaglie e decorazioni, restavano in fondo alla chiesa tra bandiere, labari e gagliardetti.
Venivano deposte sull'altare corone e cuscini di fiori con il nastro tricolore. Nei momenti solenni della messa, un comando secco e imperioso gridava "AT-TENTI!" e i tacchi di tutti i soldati risuonavano all'unisono.

Si usciva dal Mausoleo con un vago senso di commozione, che veniva però mitigato dalla visione che si godeva dall'ampio spazio prospiciente l'ingresso del Sacrario.
Da quella prospettiva, infatti, al di sopra dei pini di villa Caflish , l'isola di Capri, illuminata dal sole, sembra galleggiare nel golfo e non si può essere tristi a lungo di fronte a tanta bellezza.

Foto da "Posillipo", Renato de Fusco -Electa Nspoli

foto da "Posillipo nell'800" - Valentina Gison - Clean Edizioni



foto da "Posillipo nell'800" ,Valentina Gison - Clean Edizioni










giovedì 24 settembre 2020

Giovannina e il pignatiello

A dispetto del suo nome, Giovannina era un donnone. 
Sempre vestita di nero, con degli abiti fin sotto il polpaccio, le pantofole di feltro nere anch'esse, i capelli corvini lunghi e raccolti a crocchia sulla nuca, faceva parte del paesaggio di Giuseppone.
Era la sorella del proprietario del ristorante.
Al piano terra c'era il suo piccolo balcone, alle spalle della fontanella alla quale ci siamo sempre fermati tutti per bere, per sciacquarci i piedi, addirittura a volte da ragazzini accovacciandoci per fare la doccia. 
Era lì, perennemente affacciata, con il rosario in una mano e un bicchiere vuoto nell'altra, occupando con la sua mole tutta la finestra che le faceva da cornice.
Chiamava chiunque passasse di fronte al suo balcone, e garbatamente lo pregava di riempire con l'acqua della fontana il bicchiere o a volte anche una bottiglia.
Mi voleva bene, e gliene volevo anche io.
Una volta mi regalò in gran segreto un pignatiello di ceramica (era uno di quelli nei quali al ristorante Giuseppone venivano serviti i polpetielli) che nel suo ricordo conservo ancora gelosamente.