venerdì 9 ottobre 2015

Totonno ('o pazzo)

Rincresce che sia ricordato con questa apposizione, che volutamente ho scritto tra parentesi, che lo qualifica e lo squalifica al tempo stesso.
Il suo vero nome era Antonio Anastasio.
Non era una persona pericolosa, e non era assolutamente violento, ma aveva dei comportamenti anomali che incutevano paura a chi non lo conosceva. 
Abitava a Viale Costa. Era il padre di Luciano, che avevo conosciuto ragazzino quando vendeva le cozze a Giuseppone e che adesso, da grande, faceva il pescivendolo davanti alla farmacia. 
Totonno durante il periodo bellico fu catturato dai russi, in un'operazione che distrusse l'armata italiana nella quale era sergente. 
Evidentemente la guerra prima, la prigionia poi, con le privazioni, il freddo, la fame, la difficoltà della lingua, la lontananza dai suoi affetti, l'incertezza del futuro, l'avevano provato e sconvolto.
Quando stava calmo era un abitudinario. 
La mattina andava a bere il caffè dai guardiani del Mausoleo, poi si intratteneva un po' ai giardinetti di Piazza Salvatore di Giacomo. Aveva portato una sedia di vimini sotto l'albero vicino a Tonino il benzinaio, e lì passava il resto della sua giornata. Portava sempre dei cappelli favolosi, fatti con cartoni e avanzi vari; con i sacchetti della spazzatura si acconciava degli enormi papillon che indossava sulle sue camicie bianchissime.
Improvvisamente, però, lanciava degli urli sovrumani, minacciando di tagliare la testa a qualcuno; a volte incendiava i cassonetti, e ripeteva all'infinito "DOBRO KARACHEV".
Altra frase ricorrente era : " E nun capisce, e nun capisce, e nun 'o vo' capì! ... - Aeee... Aeee", oppure urlava "Tante 'e chelle cortellate!" .
Con una spugna passata nella cenere scriveva suoi muri parole in tedesco; e  in tedesco e in russo dava comandi con tono autoritario, retaggio probabilmente delle parole che dovevano averlo terrorizzato.
Con sguardo vigile e affettuoso il figlio Luciano lo teneva d'occhio, specie quando i bambini della Cimarosa uscivano rapidamente da scuola e attraversavano impauriti il marciapiede. 
Nei momenti in cui i ricordi si facevano forse più assillanti, Totonno si nascondeva tra le auto parcheggiate, pronto a saltare in mezzo alla strada, facendo prendere spaventi clamorosi agli automobilisti.
I posillipini che lo conoscevano, ne avevano una forma di affettuoso rispetto, pensando alle privazioni che doveva aver subito, alle violenze alle quali poteva aver assistito, alle paure ricorrenti, alla durezza della prigionia, a tutto quello che aveva portato all'alterazione e allo sconvolgimento della sua mente.
A volte urlava un nome di donna. Chiamava "Tatiana, Tatiana!" e iniziava a piangere a dirotto. Era una scena molto triste e imbarazzante.
Si raccontava che questa donna fosse stata fucilata davanti ai suoi occhi. Penso che chiunque, con i suoi trascorsi, avrebbe perso la ragione.
Ecco perchè mi pesa aggiungere al suo nome quell'apposizione con la quale tutti lo ricordano, ma che ritengo irrispettosa adesso che Totonno, finalmente libero dai fantasmi che lo tormentavano, può riposare in pace.