giovedì 19 ottobre 2023

il Carcere di Procida

Li vedevamo.
Almeno un paio di volte, in estate, con il gozzo di Mario o con quello si Sasà, ci imbarcavamo a Giuseppone e raggiungevamo Procida. La nostra era una bella comitiva di ragazzi semplici ed entusiasti. La meta era sempre quella : andavamo ad ancorarci oltre il ponte di Vivara, lasciandoci a destra questa mezzaluna di terra, disabitata e miracolosamente scampata all'assalto edilizio. Per arrivarci passavamo sotto al Castello che torreggiava in alto maestoso e inquietante. E li vedevamo.
Si accalcavano alle finestre con le inferriate doppie, richiamavano la nostra attenzione con suoni gutturali, sventolavano asciugamani, teli, camicie, per salutarci. Data l'altezza del castello non potevamo riconoscerli. Vedevamo soltanto le loro sagome che si alternavano davanti alle finestre. Rispondevamo al loro saluto con superficialità, come fosse un gioco. 
In quei momenti nessuno di noi forse pensava che per questi poveri reclusi la bellezza della vista che potevano godere dall'alto e il nostro passaggio spensierato sotto le loro celle potesse aggiungere un'ulteriore pena per la loro privazione della loro libertà. Né pensavamo, noi privilegiati, che ognuno di loro potesse avere avuto un trascorso di miseria, violenza, degrado.

Facevamo il bagno in questo mare pulitissimo (ricordo che legavamo con una sagola le bottiglie di acqua e di 
birra e le lasciavamo affondare per tirarle su belle fresche) e al tramonto tornavamo a Posillipo affrontando (!) il canale di Procida del quale allora tutti avevano timore sia per il traffico di natanti che per le correnti a volte impreviste.

Lavoravo in piscina alla Mostra D'oltremare e dopo il lavoro giravo per gli stand quando c'era la fiera della casa. Con mia sorpresa nella prima edizione, in uno degli stand erano esposti i lavori dei detenuti di Procida. Tovagliati di lino e di canapa, tende e lenzuola di fattura egregia. C'erano tre o quattro reclusi in permesso premio, accompagnati dalle guardie carcerarie. Sedevano dietro ai loro lavori esposti, e avevano lo sguardo triste e smarrito. Comprai quello che potevo, feci loro una gran pubblicità. Parlando con loro seppi che oltre al lavoro ai telai c'erano i tintori, i falegnami, i calzolai, i sarti che cucivano le divise per guardie e carcerati, e c'era anche una legatoria che lavorava per l'esterno.
Imbarazzata e un po' in soggezione parlai con uno di loro. La guardia che lo accompagnava mi raccontò che molte ragazze dell'isola usavano ordinare il loro corredo da sposa ai detenuti. C'era poi una giornata alla settimana in cui gli isolani potevano accedere all'enorme cortile del castello e comperare la frutta, le verdure, e i legumi che altri reclusi coltivavano nel grande orto alle spalle della facciata che si vedeva dal mare. 

Nel 1988 il carcere di Terra Murata è stato definitivamente chiuso, ed è stato acquisito dal comune di Procida, ma io adesso continuo a pensare agli ergastolani (pochi, ma c'erano anche quelli) che hanno visto per l'ultima volta lo spettacolo colorato della Corricella prima che il portone per loro si chiudesse per sempre.