domenica 30 ottobre 2016

Il Barone Carnap

Era il 1959. Avevo 18 anni.
Fui invitata a casa di una bella ragazza simpatica che conoscevo perchè prendevamo il filobus a due fermate di distanza e facevamo un lungo tragitto insieme. Aveva organizzato una festicciola, un "balletto" come si diceva allora, quando la padrona di casa invitava i suoi amici per fare nuove amicizie, per conoscersi, per ballare.
Qualcuno portava il giradischi, altri portavano i dischi, in genere americani, sul frontespizio e sulla copertina dei quali aveva provveduto a scrivere il proprio nome e cognome per non perderli a fine serata.
I ragazzi di oggi, che vivono di discoteche e musiche assordanti, non sanno che cosa si sono persi!
Noi eravamo insicuri, ingenui ed educati.
I più timidi stazionavano vicino al giradischi, fingendo di interessarsi ai titoli delle canzoni, per darsi un tono.

In questo caso, però, la festa languiva alquanto.
Ma quando noi, rimasti in pochi, stavamo per salutare la famiglia che ci aveva ospitato ed andare via, questa ragazza ci pregò di aspettare un attimo, perchè doveva fare una telefonata.
Infatti telefonò e ci comunicò che il Barone Carnap, evidentemente conoscente dei suoi, ci attendeva tutti già alla villa.

Il Barone Filippo Costantino Von Carnap per i posillipini era un personaggio singolare. Pochissimi lo conoscevano se non di nome. Non usciva mai e in pochi lo avevano visto.
Si sapeva che abitava in questa splendida villa nella quale in gioventù aveva ricevuto amici per lo più tedeschi e austriaci.
I marinai più anziani raccontavano che da giovane aveva un aspetto gradevole e che andava lentamente in barca con i suoi ospiti lungo la costa, accompagnato da cantori e musici. In effetti, la villa non era sua, lui era il terzo marito della baronessa che ne era proprietaria e dalla quale, nonostante fosse separato, era riuscito a farsi cedere l'usufrutto della proprietà.

Varcare quel cancello, in genere invalicabile anche per la presenza di un grosso cane da guardia, scendere lungo quel viale tra i pini d'Aleppo, palme e agavi, affacciarsi ad ogni curva per godere da una nuova prospettiva la visione del vallone ubertoso di villa Peirce, la darsena e la spiaggia, con la città sullo sfondo, scoprire scorciatoie di vialetti e scalini immersi nel verde, fu per me un'esperienza indimenticabile.
Conoscevo la villa del Cenito soltanto da mare, oppure la intravedevo adagiata nella vegetazione dal viale di casa mia; non pensavo che avrei un giorno attraversato il suo parco.
Arrivammo giù.
L'esterno della costruzione era abbastanza malandato. Un filo elettrico volante sosteneva una lampadina che mandava una luce splapita, come direbbe Camilleri, illuminando fiocamente il portone d'ingresso e lo stemma in pietra che lo sovrastava.
Bussammo e ci venne ad aprire un vecchio servitore con una livrea ormai lisa e incolore.
Entrammo in un ingresso che aveva a destra una scala in legno che saliva al piano superiore, mentre a sinistra, un salone con un grosso lampadario, sui bracci de quale erano rimaste soltanto due lampadine spaiate, faceva luce a qualche poltroncina sgangherata e a sedie di vari stili ma diverse l'una dall'altra.
Un odore acre e appiccicoso come di spezie orientali riempiva l'aria e fra nuvole azzurrine di fumo, vedemmo quattro o cinque ragazze, sciatte, ultratruccate, spettinate, malvestite e dallo sguardo allucinato, che ci guardavano sospettose, mentre una musica malinconica e inquietante veniva riproposta continuamente.
Non ricordo di avere visto maschi.
Noi eravamo arrivati pieni di vita, giovani e festosi, divertiti dalla novità, e ci ritrovavamo in un ambiente strano, insolito, che non conoscevamo e non ci apparteneva.
Ci ho ripensato dopo anni e ogni volta che ricordo, mi sembra di aver partecipato ad un film di Fellini.

Il barone comparve dopo un po' di tempo.
Scese la scala accompagnato da una ragazza di una magrezza impressionante, con gradi occhi bistrati e spenti, con un abito ciancicato di chiffon grigiastro.
Lui, vestito di tutto punto, con un vecchissimo abito scuro fuori moda e la papalina.
Nel mio ricordo assomigliava a Pirandello; si vedeva comunque che era un aristocratico, anche se in decadenza. Fu gentile e brusco, si trattenne poco con noi, e scusandosì si ritirò al piano superiore.
Penso che allora avrà avuto sui 70 anni (se ne aveva meno, erano mal portati).
Dopo una doverosa e imbarazzata sosta di una ventina di minuti, risalimmo il viale commentando e sghignazzando, un po' perplessi da questa serata strana, al di fuori dai nostri canoni.
Sapemmo poi che il barone, dopo aver tentato di farsi trasferire anche la nuda proprietà della villa per sottrarla agli eredi legittimi,  figli di un precedente matrimonio della ex moglie, fu invece da questi allontanato per sempre.
Essi dimostrarono infatti che Von Carnap non solo aveva venduto tutta la mobilia di valore, ma addirittura un manufatto isolato all'interno del parco.
Nel 1963 la villa venne acquistata da una persona giuridica che riscattò anche il diritto di usufrutto, costringendo il barone ad abbandonarla definitivamente.
Nello stesso anno il barone ne morì.

Villa Carnap - grazie a "Il nostro Posillipo"