martedì 9 febbraio 2021

L'Ostricaro

Fuori ad ogni ristorante che offriva principalmente piatti a base di pesce, c'era l'ostricaro. Figuriamoci se un locale come Giuseppone a Mare poteva farselo mancare. Aveva il suo banchetto a sinistra dei tre scalini dell'ingresso alla sala, ed era riconoscibilissimo per la scritta "Ostricaro" ricamata in bianco sulla maglietta blu. 

Giorni fa un amico di vecchia data, già brillante ingegnere, oggi placido pensionato. mi raccontava con un sorriso che il signore in questione era stato il suo primo datore di lavoro. 
In effetti, questo ostricaro veniva rifornito di taratufoli dai pescatori che molti avranno visto all'opera. In piedi nelle barche, coperti con grembiuloni di tela cerata fino alle caviglie, facendo una fatica immane anche per tenersi in equilibrio sulla barca oscillante, rastrellavano la sabbia alla ricerca di questi pregiati frutti di mare. I manici dei rastrelli erano lunghissimi: i taratufoli, una volta catturati, cadevano in un retino posto oltre i denti del rastrello stesso.

Il mio amico, uno dei primi a possedere maschera e pinne (si parla degli anni '50) sbaragliò tutti.
Scendeva sott'acqua al Cenito, sotto alle chiane dove i rastrelli non sarebbero mai potuti arrivare, scavava nella sabbia e con un bel bottino di "cape di morto" (così erano detti i taratufoli belli pieni pieni) andava a rifornire l'ostricaro in attesa. Il compenso pattuito gli permetteva di pagare l'affitto della barca e magari anche un gelato o un panino. 
A Posillipo i taratufoli erano presenti al Cenito e sotto allo scoglio a sinistra della Cajola, le ostriche -rifornite all'ostricaro da altri ragazzini- venivano raccolte sotto al serbatoio dell'acqua minerale a Villa Maisto.
Le cozze, invece, le trovavi un po' dovunque. Le più buone in assoluto erano quelle di Pietrasalata -forse perché crescevano in un luogo pieno di correnti-, poi c'erano quelle sotto alla terrazza di Villa Gallotti, piccole ma saporitissime, e poi ancora quelle enormi della tavola di mare a Trentaremi.

Man mano tutti noi comprammo le maschere e gli occhialini per andare sott'acqua, ma le prime si appannavano e i vetri degli occhialini uscivano dalla gomma dov'erano alloggiati, oppure facevano entrare l'acqua. Adesso le maschere sono ipertecnologiche. Noi per pulire il vetro dovevamo sputarci su o usare una mezza patata. 
Intanto l'ostricaro raccoglieva i frutti più belli dal suo banchetto, li adagiava su una spasella coperta di alghe e al cenno di un cameriere faceva il giro fra i tavoli.

Il banchetto dell'ostricaro a Giuseppone a Mare - Foto archivio Gennaro Improta fornita da Lello Vigilanti


domenica 7 febbraio 2021

Un po' di spese a Posillipo

I Posillipini "scendevano" a Napoli solo se costretti dalla necessità.

Si andava in città per lavoro, per pratiche legali, per operazioni bancarie, per visite mediche, per spese di abbigliamento, per acquisti di elettrodomestici.

I ragazzini dopo la scuola elementare "espatriavano" verso la Fiorelli, non esistendo a Posillipo una scuola media e solo così prendevano contatto con la realtà della città.

In effetti dal Capo a Largo Donn'Anna non mancava niente di essenziale. Dal Casale a Piazza San Luigi erano presenti 3 farmacie, 2 pompe di benzina. 3 bar, 4 salumerie, 2 macellerie, una merceria, un fabbro, un barbiere (Don Ciccio, chiamato Acquacalda), una ricevitoria del lotto, un bravissimo ciabattino chiamato "il Tenore" perché cantava ai matrimoni, la cartoleria emporio di Don Luigi e Donna Filomena, che si occupavano anche di raccogliere gli indumenti per conto di una lavanderia, due chiese e due chioschi di giornali.

Per la frutta, la verdura e il pesce, ognuno aveva il suo fruttivendolo e il suo pescatore di fiducia a cui rivolgersi.

Da San Luigi a Palazzo Donn'Anna, oltre all' Elettroforno, una latteria, una polleria, un'altra chiesa, un vinaio (o meglio vini e olii), la piccola ed efficientissima sede del Municipio dove ricordo il direttore , il dottor Lieto, gentile e simpaticissimo; ancora una merceria, un gommista, un altro tabaccaio, una parrucchiera, l'officina di Ninotto.

Il Largo Donn'Anna era già più "urbanizzato", in quanto esisteva un ufficio postale con solo due sportelli, dove gli anziani andavano a ritirare la pensione, dove si pagavano le bollette, dove si spediva la posta. Era un ufficio piccolissimo (attualmente al suo posto c'è il bar Moccia) dove l'attesa era piuttosto lunga, ma ampiamente mitigata dalla visuale fantastica che si godeva dalla finestra che dava sulla spiaggia dei bagni Donn'Anna e Elena e su tutto il golfo. E poi... quando mai i Posillipini hanno avuto fretta?

Era l'occasione per salutarsi, per scambiare due chiacchiere. Fuori alla Posta c'era il "nostro" Menichiello. Frutta e verdure scelte, turgide e coloratissime, affollavano il marciapiede. I fratelli Tremolaterra, Gigione e Salvatore, cortesissimi e sorridenti, accontentavano tutti illustrando la bontà della loro merce e delle loro primizie. Gigione era un pezzo d'uomo con gli occhi azzurri. Andava a fare le consegne con una Giulietta chiara. Salvatore, dolcissimo, alto e magro, lo aspettava nel negozio.

A Donn'Anna c'era un'altra ricevitoria del lotto, un piccolissimo negozio dove Strato vendeva le scarpette per i bambini, ancora una macelleria, ma poi c'era l'Emporio della famiglia Sisimbro.

Edicola, tabaccheria, cartoleria, vendite di detersivi, giocattoli, articoli per la pesca, maglieria intima, calzini... e certamente ho dimenticato qualcosa.

Si era accolti dalla signora Sisimbro e dal marito, dai figli Eugenio con la moglie Lucia, e Antonio con la fidanzata Antonietta. Antonio, rapidissimo a fare i conti, Antonietta con un'unica treccia bionda, Lucia con i profondi occhi neri, Eugenio cortese e svelto. Fare la spesa da loro era un piacere. Se avevi bisogno di qualcosa che in quel momento non era in negozio te la procuravano, e siccome tutti si fermavano da loro, potevi chiedere informazioni di persone che avevi perso di vista ma sapevi fossero loro clienti.

Il Largo Donn'Anna per i Posillipini rappresentava le "Colonne d'Ercole", mentre la Torretta a Mergellina con il mercatino, le bancarelle, il traffico, e il ritmo accelerato, poteva definirsi l'avamposto della città.

Palazzo Donn'Anna e la Costa - foto di CARLOM