venerdì 8 dicembre 2017

Il bar Vegezio

Nel 1951, la bottega che dagli anni '30 e anche prima aveva sempre ospitato un forno a fascine, cambiò decisamente volto e divenne una splendida panetteria.
Il proprietario del forno, il signor Valerio, da tutti però chiamato don Antonio, aveva fatto le cose in grande.
La porta d'ingresso era incorniciata tra due ampie lastre di marmo, che poggiavano sul muro esterno e sulle quali spiccava a lettere cubitali la scritta VEGEZIO, cognome simpatico, musicale, orecchiabile, e insolito per Posillipo.
L'interno era luminoso e ordinatissimo, l'accoglienza cordiale, in pane -in tutte le sue varietà- squisito.

Il locale ebbe successo, tanto che l'anno seguente aggiunse una nuova offerta alla clientela, e diventò il bar-panetteria Vegezio. Si occupava dell'amministrazione il figlio del signor Valerio, Salvatore, mentre l'altro figlio -l'infaticabile Strato- quando non era in negozio, era addetto alle consegne.
Al banco c'era un uomo massiccio, bruno, con dei grandi baffi neri.
Naturalmente, e conseguentemente, venne da tutti chiamato Baffone.
Baffone, come d'altra parte i fratelli Vegezio, era un gran lavoratore: gentile, veloce, sorridente e rapido, si divideva fra l'espositore del pane, la macchina del caffè, le vaschette della gelateria, la piccola vetrina dei dolci.
La mattina presto i pescatori passavano a prendere il caffè (in genere c'era sempre qualche caffè pagato, ma se anche non ci fosse stato, il signor Salvatore, nella sua generosità, avrebbe bluffato e l'avrebbe offerto lui),
Più tardi, i bambini della Cimarosa, e i ragazzini del Della Valle, prima di andare a scuola, passavano a comprare i bollini con la marmellata di mirtilli e i dolci di pasta frolla al limone per i quali la pasticceria era famosa.
Intanto il signor Strato distribuiva il pane con il camioncino.
Quando scendeva per rifornire il ristorante, giù a Giuseppone, il nipote Giuseppe, allora ragazzetto, lo accompagnava con entusiasmo.
Sperava sempre (e accadeva spesso) che si trovasse a vedere la motobarca che attraccava al pontile, dopo aver suonato la sirena, e lanciato una cima che da terra veniva raccolta e fissata all'ormeggio.
Gli piaceva vedere sistemare la passerella e sciamare in fila i bagnanti.
Altre volte si trovava con la partenza della motobarca, quando l'elica borbottante sollevava il fondo e faceva affiorare le alghe, mentre i piccoli nuotatori più arditi si tuffavano nella sua scia.

Il bar Vegezio divenne presto punto di ritrovo.
Ricordo che il signor Salvatore, quando Totonno (che bazzicava sempre lì attorno) stava per avere una delle sue crisi mattutine, con grande garbo lo prendeva sottobraccio e lo invitava a entrare con lui nel bar, offrendogli da bere e distraendolo.
Quando poi Salvatore 'o galiota, di professione portiere e poi bagnino a Riva Fiorita, saliva a comprare gli sfilatini, era tutto un fiorire di battute e di risate.
E c'era il signor Rigoli, che stupì tutti quando fuori al bar, in una delle gare di forza col signor Franchino, fu da questi sfidato ad alzare una 500 fino all'altezza dell'ombelico e la sollevò invece fino alle spalle.
Anche i Conti Del Balzo frequentavano sporadicamente il bar Vegezio.
Il Conte Mario, quello col monocolo, con la solita aria di sussiego, memore di antichi fasti, ostentava questa sua nobiltà; il fratello minore, molto più semplice e alla mano, veniva da lui redarguito perchè troppo democratico.
Il bar esiste tuttora, gestito da un nipote del signor Valerio, dal quale ha preso anche il nome.
Mi auguro che nonostante la diaspora dei posillipini veraci, possano ancora esistere a Posillipo personaggi in grado a loro volta di lasciare un segno che faccia sorridere di tenerezza e nostalgia nel ricordarli.