venerdì 10 luglio 2015

I Tripolini

Due fratelli. Gemelli, identici, da credere di vederci doppio. Piccoli, tarchiati, con i capelli a spazzola e le facce piene di rughe che ricordavano quei tappi da bottiglia scolpiti nel legno che si trovano in Alto Adige. Scendevano ogni mattina dal Casale, con le maniche delle camicie avvolte sui gomiti e i pantaloni avvolti al ginocchio. Ognuno di loro aveva uno di quei tini di legno col manico, e lo portava su una spalla. Li chiamavano " I Tripolini" perchè raccontavano di aver fatto ala guerra coloniale a Tripoli. Uno di loro si chiamava, forse, Giovanni; l'altro non saprei. Parlavano una lingua strana, tipo un dialetto sardo. Soltanto a tratti si captava qualche parola e si ricostruiva quello che volevano dire. Non davano fastidio a nessuno. Salivano a bordo della loro barca e pescavano sotto costa, tra gli scogli, dove avevano nasse e mummarelle. Quando sbarcavano, al tramonto, c'era sempre chi offriva loro una sigaretta o una birra. Uno di loro la prendeva, ma solo dopo essersi accertato che ce ne fosse una anche per l'altro fratello. E così anche per le sigarette. Ma, avendo un'età, e bevendo e fumando troppo spesso, un medico suggerì loro di eliminare almeno un vizio: o il fumo o il bere. E allora, sapete come la risolsero? Alternativamente uno beveva due birre e l'altro fumava due sigarette, salvo cambiare il mese successivo. La sera risalivano, piccoli , scalzi, con il loro scarso pescato, e tornavano alla loro casetta, al Casale.

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