lunedì 23 settembre 2024

Storia di un'amicizia

Renato, posillipino per eccellenza, viveva sul mare e per il mare. Aveva fatto tutta la trafila dei ragazzi di Posillipo: bagni a tutte le ore e in tutte le stagioni, tuffi, pesca con il coppo, con la lenza, con la canna, con la polpara, con il fucile subacqueo. Poi scoprì la vela, e partecipò a varie regate nel golfo. Appena poté comperò un gozzo, sul quale imbarcava i suoi amici, sempre di più numerosi, e iniziò a pescare anche a traina.

A Napoli, a metà degli anni '50 i sub che utilizzavano le bombole erano pochissimi. Renato non si lasciò scappare l'occasione di provare, e si innamorò di questo nuovo modo di vivere il mare. Quello che era iniziato come un gioco, diventò poi per lui anche un lavoro.

Luciano, che se non sbaglio era salernitano, giunto a Posillipo si adeguò immediatamente al modo di fare e di essere di questi napoletani decisamente particolari. Simpaticissimo, sveglio, svelto, affabulatore, fece subito amicizia con tutti. Anche lui appassionato di immersioni subacquee, conobbe Renato e furono entrambi contattati dalla Pirelli per posare cavi sui fondali tra la terraferma e le isole. 

Alla fine degli anni '50 le immersioni subacquee avevano iniziato a prendere piede, e sempre più numerosi diventavano gli appassionati. I più anziani, quelli che le avevano scoperte per primi, tentavano il salto di qualità. Cominciò a spargersi la voce che in Sardegna c'erano numerosi ed enormi banchi di corallo che non aspettavano altro che di essere raccolti. Allora, a Napoli, il corallo veniva pagato molto bene dalle storiche fabbriche che lo lavoravano a Torre del Greco.

Renato e Luciano partirono. Effettivamente il corallo c'era, ed era molto pregiato. L'unica difficoltà consisteva nel fatto che si trovava fra gli 80 e i 100 metri di profondità.

Per due esperti come loro questo non era il problema, bisognava però calcolare la durata dell'immersione, comprensiva delle soste per la decompressione, in base alla capacità delle bombole. Raccontavano che per passare il tempo durante queste soste obbligate, giocavano alla morra cinese.

Un giorno se la videro brutta. L'erogatore di Renato si tranciò in parte contro un ramo. Luciano se ne accorse subito, ed entrambi capirono che dovevano risalire al più presto, ma c'era il famoso problema delle tappe per la decompressione. Si alternarono a prendere l'ossigeno da un unico boccaglio, e furono costretti a utilizzare anche i rispettivi bombolini di emergenza. Finalmente emersi, finirono entrambi nella camera iperbarica e questo cementò per sempre la loro amicizia.

Tornarono poi a Napoli. Vendettero molto bene il loro corallo, e aprirono un negozio di fronte all'imbarco degli aliscafi, a Via Caracciolo. 

Renato, forte della sua esperienza di velista, si occupò di rifornire il negozio di redance, morsetti, tenditori, passacavi, bitte, sagole, ecc.. erogatori, boccagli, maschere, pinne, guanti palmati, profondimetri, tabelle di decompressione, cinture con piombi, torce, pugnali e fucili, erano esposti nelle vetrine, mentre una serie di compressori lavorava a pieno ritmo per ricaricare le bombole. Oltre alle mute della Technosub, della Cressi e della Mares, Renato e Luciano, con una intuizione geniale, pensarono bene di confezionare le mute su misura. Comprarono rotoli di neoprene di vari spessori, e istruirono i due ragazzi che lavoravano con loro, a ricomporre i pezzi tagliati, sigillandoli con il mastice apposito. In un angolo del negozio c'erano boe, gavitelli, catene di tutte le misure, parabordi... Al lato opposto, cime e cordami, di manilla, canapa, nylon e ancore a ombrello e a due, a tre e a quattro marre.  Bussole, carte nautiche e anemometri erano conservate negli stigli. All'interno del negozio, a rotazione, venivano esposti i gommoni in vendita. Il più ambito era sempre lo Zodiac, che era anche il più costoso. I motori fuoribordo erano l'Evinrude, il Mercury e il Chrysler, oltre al simpatico Seagull, lento e sicuro, ma adatto ai gozzi e alle barche di legno.

Barche di legno che ormai, verso la metà degli anni '60, stavano purtroppo cedendo il posto alle imbarcazioni in vetroresina, indubbiamente più pratiche data la manutenzione pressoché nulla, ma che facevano inorridire i "puristi". Il top si raggiunse quando Luciano, tornato da una fiera nautica, impose in negozio dei battelli senza prua, ma con un ampio prendisole. Si chiamavano Boston Whaler, erano americani, ed erano più adatti ai fiumi che al mare. Nessuno avrebbe pensato che questa novità potesse incontrare successo, ma Luciano aveva la vista lunga. Contattò la ditta che li produceva: si fece inviare i due modelli sul mercato, li espose, e li vendette in una settimana. E in una stagione ne vendette una decina. Gli affari andavano alla grande, ma Luciano pretendeva sempre di più. Alle varie offerte aggiunse alcuni elementi di arredamento nautico (tovagliette, cuscini, vassoi, bicchieri, lampade in ottone etc). Intanto, sempre più persone compravano grandi motoscafi cabinati, e fu lanciata la pesca d'altura. E quindi nel negozio comparvero anche il sediolino rafforzato e orientabile, e il cinturone con la vaschetta per appoggiare la pesantissima canna. Con la sua chiacchiera Luciano sarebbe stato capace di vendere l'intera attrezzatura da sub anche a qualcuno che non sapeva nuotare.

Renato, più riflessivo e tranquillo, titubava, e avrebbe voluto sì allargare l'offerta, ma gradualmente, senza rischiare troppo. D'altra parte le cose andavano bene. Finirono per litigare. Luciano, convinto che Renato avrebbe mollato, propose di separarsi, e che uno dei due avrebbe liquidato all'altro la quota spettantegli. Si trattava di una grossa cifra, data anche tutta la merce in magazzino. 

Renato stette male, considerava questo negozio come una sua creatura. Si prese dei giorni per pensarci, e la tensione tra loro era palpabile. Si consigliò con i parenti, con gli amici. Alla fine si accordarono. Renato, facendo grandi sacrifici - anche perché aveva messo su famiglia - divenne l'unico proprietario di questo negozio, che entrambi avevano creato con tanto entusiasmo. Parlò con il proprietario del locale, e rinunciò alla zona destinata all'ufficio e a una vetrina dell'esposizione. Licenziò a malincuore la segretaria, e uno dei ragazzi addetti alla vendita, e si accinse ad affrontare con ansia e preoccupazione questa nuova avventura.

Luciano ci rimase malissimo. Stettero a lungo senza salutarsi, e pur trattando lo stesso ambiente, cercavano di evitare di incontrarsi. Luciano diventò yacht broker. Agiva sul mercato delle imbarcazioni usate, sia sulla compravendita, sia soprattutto per il noleggio. In genere questo lavoro viene svolto da un'agenzia, ma Luciano, forte della sua parlantina e della sua simpatia, lavorò in proprio con buon successo. Gli pesava però parecchio la rottura con Renato, e l'aver lasciato quel negozio per sempre. Dopo un paio d'anni tornò in Sardegna. Tramite amici comuni, chiedeva notizie di Renato, che faceva altrettanto. Ognuno dei due sapeva tutto dell'altro, e si preoccupava che le cose andassero bene. Poi si seppe che Luciano si era ammalato. Un amico dalla Sardegna chiamò Renato, dicendogli che Luciano voleva rivederlo. Renato si precipitò, dimenticando all'istante tutti gli screzi che c'erano stati. Partì la sera stessa. Lo trovò sciupato e sofferente, ma il sorriso dolce con il quale fu accolto, e l'abbraccio stretto, lo fecero sperare in una miglioria. Purtroppo non fu così. Renato gli rimase accanto come un fratello affettuoso, ricordandogli tanti tanti episodi, anche divertenti, degli anni trascorsi insieme. Quando gli lasciò la mano, in silenzio e a porte chiuse, pianse tutte le sue lacrime.