sabato 12 aprile 2025

Aprile

Già il nome ti mette di buon umore. 

Queste tre sillabe in fila hanno l'effetto di una dolce carezza. L'aria finalmente tiepida ti porta un profumo nuovo, di piante in sboccio. E su tutto prevale quello inebriante e delicato del glicine.

E allora sbirci nei giardini finché non ne trovi la fonte e godi nel vedere quei grappoli lilla, fragili e purtroppo di breve durata. Il pensiero torna a tempi lontani, quando la domenica di Pasqua, a mezzogiorno, si scioglieva la "Gloria" e, dopo che erano stati rimossi tutti i drappi viola che avevano ricoperto le immagini sacre in segno di lutto, le campane delle tante chiese della città suonavano a festa, tutte insieme. Le famiglie andavano a messa e si scambiavano gli auguri.

I negozietti di dolciumi, insieme alle caramelle sfuse, alle more, alle barchette, alle girandole di liquirizia, vendevano le pecorelle di zucchero. Si compravano e si regalavano primule e violacciocche, e la gente era sorridente. Ci si accontentava di poco.

Le varie stazioni radio trasmettevano di continuo, alternativamente, le canzoni napoletane. Cantavano tutti: cantava il ragazzo in bicicletta che portava il pane, cantava l'imbianchino, il calzolaio, lo scalpellino, l'operaio. Cantavano le donne che rassettavano con le finestre aperte.

Era forse un modo per tenersi compagnia, per apprezzare la bella giornata, per partecipare al mondo la propria serenità.

Il ritmo della vita era lento. C’erano l’amicizia, il rispetto, la semplicità di vita. 

C’era la solidarietà. Ci si voleva bene.




Primavera a Posillipo - foto di Luna y Valencia

mercoledì 19 marzo 2025

L'inverno

A Posillipo, l'inverno era considerato, ed era, un breve intervallo tra la stagione balneare terminata da poco, e la prossima in arrivo.
Tutti apprezzavano la nuova visione del mare, non più placido, ma burrascoso, diverso, affascinante.

C'era un rifiuto all'idea che potesse fare freddo, e infatti era raro vedere persone imbacuccate - al massimo coperte con una giacca a vento - anche perché, avendo incamerato tanto sole e tanto calore vivendo all'aria aperta durante la primavere e l'estate precedente, non recepivano il freddo. 

Nelle sere d'inverno mi piaceva tanto scendere a Giuseppone.

Ad ogni curva della strada l'odore della salsedine arrivava più forte ed invitante, specie quando c'era vento. E quando c'era vento, e si arrivava allo slargo con la fontanella, un lampione solitario, sospeso in alto, dondolava impazzito, come una campana senza batocchio, illuminando alternativamente la torre di Villa Volpicelli, il bar ormai chiuso di Rosaria, parte della darsena, la finestra di Giovannina.

La piazzetta era deserta. Il ristorante chiuso a sua volta; i pescatori si erano rintanate nelle loro piccole case. La città risultava illuminatissima, dietro ad un mare nero solcato in orizzontale da onde lunghe bordate di bianco, che smorzavano la loro corsa contro la scogliera e l'imbarcatoio, e si ritraevano rumorosamente trascinando un po' di sabbia e qualche ciottolo. 

Di giorno, invece, quando soffiava la tramontana, l'aria tersa sembrava di cristallo, e la cima del Vesuvio , a volte innevata, donava una pennellata di bianco che interrompeva tutti quei vari toni di blu, del cielo, della montagna e del mare increspato a scaglie d'argento. Era, come dicevo, una visione completamente diversa da quella estiva, quando all'imbrunire, sullo scivolo, erano tirati a secco i "canotti", che sarebbero stati affittati il giorno dopo. L'odore della nafta era sparito, ma la magia di quel posto, così intimo e particolare, continuava e continua ancora...




Il mare d'inverno a Giuseppone